AL BAR, LO SPORT DELE CIACOLE

Non è solo un luogo ma un rito, una consuetudine che si trasforma in cerimonia, con protagonisti e comparse, membri della tribù e randagi di passaggio. È il centro del paese, il posto dove tutto parte o arriva, dove tutto si sussurra, si viene a sapere. Un ricettacolo fantastico di personaggi, un coacervo di situazioni, abitudini e manie. Non si tratta della parrocchia, del luogo di lavoro o di casa. E’ il bar, quello in cui la gente si racconta o ascolta storie, beve rapidamente un caffè in piedi davanti al bancone o sceglie di farlo sedendosi, aspettando il giornale mentre c’è chi lo sta già leggendo riga per riga, muovendo la bocca mano a mano, oppure scorrendo semplicemente i titoli senza soffermarsi, almeno fino alla pagina dello sport, quella sì, pagina imprescindibile. È il bar del paese, che si chiami Centrale o Sport, quello che, prima dell’avvento dei croissant bio e delle slot machine, era abitato da biliardini, flipper o jukebox, quello in cui un tavolo è sempre rimasto occupato dai giocatori di carte, a qualunque ora, come in un dipinto d’altri tempi. Dove il bagno degli uomini è sempre aperto mentre, per accedere a quello delle donne, come per uno scrigno custode di preziosi, serve una chiave appesa ordinariamente sul muro dietro al bancone. Un locale che riesce a far diventare opinionisti tutti quelli che ci entrano grazie al solito tizio nell’angolo, su cui volgi inevitabilmente ed involontariamente lo sguardo, quello che parla da solo in attesa di un cliente sconosciuto pronto ad abboccare ai suoi discorsi di politica, cronaca o sport. Discorsi che i clienti abituali hanno imparato come evitare, anche se qualcuno regolarmente ci casca scatenando polemiche che si diramano a cascata per tutto il bar senza capo ne coda. Discorsi che assumono connotati malinconici o comici quando arrivano al solito individuo uso ad alzare il gomito già dal primo mattino o al “matto del quartiere”, che sproloquia senza cognizione di causa solo per elemosinare un po’ di attenzione. Discorsi e discussioni su cui piomba rapace, come un avvoltoio affamato, quello che comunemente chiamano “professore” e siede solitamente al centro, silenzioso ma attento, felice come un bambino di alzare finalmente gli occhi dalla Gazzetta dello Sport, monopolizzata per ore, e lanciarsi in analisi dal pulpito di un’incessante bisogno di avere sempre ragione. Uno che ha fatto sua una tecnica fondamentale e professionale nelle chiacchiere da bar: quella di opporre ad un ragionamento sensato o ad un fatto accaduto l’esempio di una propria esperienza personale, meglio ancora se di un parente o di un conoscente preferibilmente deceduti, in modo da garantire una qualche chiara autenticità del racconto poichè impossibile da confutare. Ed è per questo, come dice il barista sotto casa, che: “Qualche volta val propri la pena sentarse zò e gòderse la scena”.